Servono urgenti ristori economici per un settore
fortemente colpito dagli effetti della pandemia
“Accogliamo con favore la sentenza del Tar del Lazio che ha stabilito la riapertura dei centri estetici nelle zone rosse. Ma si tratta di una soluzione effimera e, purtroppo, temporanea. La vera svolta arriverà solo da un decreto del Governo.”
Marina Gasparri, responsabile regionale della Cna per le imprese del settore benessere, commenta così la decisione del tribunale amministrativo laziale che, esprimendosi su un ricorso, ha riconosciuto come discriminatorio l’obbligo di chiusura per i centri estetici nelle zone rosse a fronte di altre attività, in particolare l’acconciatura, che invece rimangono aperte, e ne ha disposto la riapertura.
“Siamo assolutamente in linea con il principio della sentenza e con i risultati prodotti. Ma la nostra associazione non ha mai perseguito la strada del Tar, perché non crediamo che sia a colpi di ricorsi che si ottengono i risultati. Infatti, non passa da qui la soluzione ai veri problemi del settore. In primo luogo perché la sentenza potrebbe essere capovolta, nel giro di poche ore, dal Consiglio di Stato, come è già successo per le scuole in Umbria, costringendo i centri estetici a dover spegnere di nuovo le luci. In secondo luogo perché se anche ciò non avvenisse, gli effetti di questa sentenza sono legati, anche temporalmente, al solo Dpcm del 14 gennaio sul quale il Tar aveva autorità a pronunciarsi. Detto in altre parole, il 5 marzo la sentenza scadrà insieme agli effetti del Dpcm. Per questo la nostra battaglia, da novembre in poi, quando il primo Dpcm ha istituito le famigerate zone a colori, è stata impostata nel chiedere al governo di rivedere a monte la decisione di escludere i centri estetici dalle attività che devono stare chiuse in zona rossa. E lo abbiamo fatto nella certezza che i protocolli anti Covid applicati dal settore sono tra i più sicuri avendo partecipato come associazione di categoria alla loro definizione. Così come abbiamo chiesto che in zona arancione fosse legittimo spostarsi tra i Comuni per raggiungere il proprio centro di fiducia.”
Le perplessità di Gasparri sono anche altre. “Questa sentenza non sarà in grado, da sola, di porre rimedio a un calo di fatturato inesorabile. Mesi di restrizioni, la paura del contagio, i divieti di spostamento tra comuni, il ridursi della capacità di spesa e l’incertezza economica, tutto questo fa sì che gli incassi ridottissimi di questi ultimi mesi, in alcuni casi non siano nemmeno sufficienti a coprire i costi. Parliamo di un settore, tutto al femminile, che in Umbria conta oltre 800 centri. Quindi, da un lato serve un intervento definitivo del governo per correggere una norma discriminatoria, ma dall’altro – conclude Gasparri – vanno previste misure di sostegno a un comparto che soffre profondamente degli effetti della pandemia.”